Casarsa / 6-19 maggio

INAUGURAZIONE SABATO 6 MAGGIO ORE 18.

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Andalusia

L’arte che percorre le tappe di un viaggio verso il compimento di Lucia Burello

Abbiamo visto un quadro, c’era disegnata la neve. La reazione immediata è stata tenerezza per un paesaggio che sentiamo intimamente nostro, di un Friuli di terra dura che spacca, e di gelsi conficcati come chiodi. Poi ci ha sorpreso la capacità di dare il senso della neve. insomma, usare il bianco non è così semplice come si crede. Provate voi, a disegnare la neve! Ma alla fine, la cosa che ci è piaciuta di più, è stata la capacità di disegnare il silenzio. Quel Silenzio.
Classe ‘42, originario di Branco, figlio di un pittore decorativo, il disegno era già nel suo dna. Allievo di Dino Basaldella ed Emilio Caucigh a 19 anni Redi Casarsa vinse il primo premio a un concorso di grafica industriale per una vetreria belga. Riconoscimento che lo vide “emigrante” d’eccezione per 30 anni. Da quei tempi la sua arte sarà un continuo riconoscimento con affermazioni e premi a livello internazionale.

Africa-Maternità

Africa-Maternità

Ma è un’arte che al tempo, il critico Jean Borzé definì: “un mondo di sofferenza, minaccia, paura. Un mondo tragico”. Ora Casarsa vive a Udine, la sua famiglia è numerosa, figli, nipoti… e la sua forse è diventata la stagione del concilio con la vita, o forse della tregua. In ogni caso sembra il tempo della pazienza, e dell’amore nei confronti dell’esistenza. Guardata come si guarda il figlio più difficile e problematico, ma proprio per questo più commovente. Il figlio che è la nostra “debolezza”, dunque la nostra forza. Ecco che il silenzio di cui parlavo, altro non sembra che un incessante e assordante racconto amoroso, così perfetto, o quantomeno umanamente perfetto, da divenire sostanza, nel senso di risposta autentica e sobria, onesta e chiara, all’esistenza. E di ascolto, come se l’intorno ci parlasse all’orecchio di cose difficili da comprendere, ma di cui ne intuiamo la portata, e cerchiamo di accogliere senza opposizione presuntuosa, perché consapevoli che, semplicemente, sono tutto quello che abbiamo e che siamo. Siamo quelle donne africane, semplici, dignitose e forti. Siamo la nudità, se mai arrivassimo a capirlo. Siamo il vuoto dove alberga il tutto, figli di deserti gialli e roventi, o candidi e gelidi. Siamo colore, perché viviamo di luce. Ma per arrivare a questo era necessario tutto ciò che Borzé definì: paura. Si perché i quadri di Casarsa ripercorrono le tappe di una via crucis che nell’uomo è vocazione, per necessità di compimento. La metafora del viaggio suggerito da qualsiasi religione e da qualsiasi cultura. Dal fanciullo all’orfano, dal viandante al guerriero e infine al mago. Il viaggio di Dante, di Ulisse, di Teseo, Akab e di Gilghamesh. Il viaggio di un comune mortale che decide di attraversare sé stesso per essere artefice della propria vita. Non per una vita di esperienze, ma per essere, l’esperienza. A noi lo sguardo del pittore suggerisce questo. E tutti i suoi quadri sembrano un reportage, la puntuale testimonianza iconografica del suo “grand tour”: la sua vita.

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Atmosfere silenti

Lo schiavo

Lo schiavo

Redi Casarsa Dall’inizio del suo percorso artistico ad oggi ha tenuto oltre centododici mostre personali in Italia ed all’estero ed è stato invitato a centinaia di collettive ottenendo numerosi premi.
I suoi paesaggi innevati ci trasmettono una sensazione di quiete, mentre gli ambienti mediterranei, provenzali o africani da lui vissuti effondono calore. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Australia, Austria, Belgio, Francia, Inghilterra, Italia, Svizzera, USA, Repubblica del Congo, Croazia e Slovenia.

Livio Crovatto / 22 aprile – 5 maggio

INAUGURAZIONE SABATO 22 APRILE, ORE 18.

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Istria di ieri, Istria di oggi

Sole alla valle, sole alla collina,
per le campagne non c’è più nessuno.
Addio, addio amore, io vado via
amara terra mia, amara e bella.
Enrica Bonaccorsi e Domenico Modugno

Al di là della “patria” in senso stretto, del luogo cioè dove abitiamo, dove siamo nati e dove ci siamo formati, esiste spesso un luogo d’elezione, magari contiguo al primo, o anche lontanissimo: una regione, a volte più d’una, dove il nostro io si mette in ascolto e di frequente trova assonanze tra i luoghi in cui si sofferma e la propria persona, la propria storia individuale e familiare.
Per molti triestini, tale luogo d’elezione è rappresentato dall’Istria, talvolta per memorie familiari anche drammatiche, in altri casi semplicemente per la vicinanza territoriale che fa della penisola istriana il retroterra più naturale e più prossimo della città, in altri casi ancora, banalmente, perché è il luogo delle vacanze estive, per lo più golosamente consumate sulle spiagge e sulle cittadine della costa.
Anche Livio Crovatto ha subito e subisce tuttora il fascino della terra rossa dell’Istria, che da molti anni percorre, come sempre armato di fotocamera per documentare, per sé e per gli altri, luoghi e incontri che lo inducono a fissare nell’immagine fotografica ciò con cui entra in contatto.

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La “sua” Istria non è quella azzurra e accattivante delle località costiere, dove il trionfale progredire del turismo di massa sottrae, una stagione dopo l’altra, l’autenticità veneta dei borghi litoranei, dove la fatica era un tempo quella delle reti da pesca da rammendare, del lavoro dei calafati nei piccoli squeri odorosi delle stoppie incatramate, mentre è oggi quella dei servizi a un turismo sempre più impersonale. Gli ambiti territoriali in cui si concentra l’interesse del fotografo sono, e non da oggi, quelli dell’Istria interna, terra avara ed esigente, fatta di campagne sempre più svuotate, di modo che le immagini esposte, riferite agli anni Settanta e Ottanta del secolo passato assumono, per lo più nel loro nostalgico bianco nero, valenza di documentazione ormai storica, a testimonianza di un tessuto sociale rurale che ha consumato in quell’epoca, con omerica lentezza, gli ultimi scampoli di una cultura refrattaria al mutare delle condizioni economiche e politiche che non riuscivano a penetrarla, come pure non la turbavano più che tanto il valzer di confini che andavano e venivano, cambiando periodicamente la geografia politica della penisola, mentre quella fisica rimaneva testardamente uguale a se stessa.
Il lungo reportage di Crovatto su quelle località (Portole, Buje, Momiano, Verteneglio, le valli del Quieto e del Dragogna), per lo stratificarsi in un intervallo temporale ormai significativo, assume la connotazione di una documentazione storica prima ancora che geografica, riportandoci a un mondo patriarcale che, pur essendo materia di quarant’anni fa, sembra lo stesso di diversi secoli precedenti, con i buoi Boscarin ancora non sostituiti dai trattori, gigantesche incarnazioni della monumentalità bovina di carducciana memoria, con pecore, con le capre, una delle quali colta in una postura quasi araldica da un’inquadratura che rimanda allo stemma dell’Istria. E poi, naturalmente, la rappresentazione del lavoro, della stanchezza nei volti di pietra e nelle mani callose di chi la vita deve cavarla da una terra non certo prodiga, mondata dei suoi mille sassi di calcare dall’opera indefessa di svariate generazioni.

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Avvicinandosi al nostro presente, sottolineato qui dall’abbandono del bianco nero a favore di una fiammeggiante tavolozza catturata dall’obiettivo di Crovatto nei campi – soprattutto primaverili e autunnali – in un paesaggio mutato, con i casolari abbandonati nelle campagne, le occhiaie vuote di porte e finestre che fino a ieri si indovinavano custodi di un’intimità familiare ormai perduta, vinta per sempre dalle lusinghe del lavoro in fabbrica, della città, delle località turistiche, di una vita che si promette meno tiranna e più confortevole o, mal che vada, più incline al compromesso.
Ancora una volta, con le immagini esposte in questa mostra, Crovatto indica la via di una rappresentazione giocata tra la decisione dell’inquadratura energica netta nella definizione dei dettagli che gli importa di sottolineare e l’accuratezza morbida di un delicato sentire. Un altro atto d’amore per questa terra amara e bella.
Walter Chiereghin

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