Iryna Smitchkova / 17-30 dicembre

INAUGURAZIONE SABATO 17 DICEMBRE ALLE ORE 18

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Emozione d’oriente

Iryna Smitchkova è un’artista di origine russa formatasi presso le migliori scuole di pittura di Mosca; durante gli studi rimane incantata dalla magia e dalla raffinatezza dell’acquarello. Le opere esposte sono tutte alta espressione di questa tecnica che trae le sue origini da tempi antichissimi (i primi dipinti in acquarello si datano II secolo d.C. in Cina con motivi realizzati su seta).
L’esecuzione è di per sé una tecnica assai raffinata, dal momento che errori di realizzazione, difficilmente, e diversamente dalle altre tecniche pittoriche, possono essere corretti mediante la semplice sovrapposizione di altro colore.
In Europa il predecessore dell’acquarello può essere considerato l’affresco; tale tecnica permetteva all’ artista di realizzare degli effetti simili alla pittura d’acqua. Grazie alla scoperta di una particolare carta da disegno l’acquarello si diffuse come tecnica di pittura ad acqua nei secoli XII-XIII quando artisti di diversi Paesi iniziarono ad usarla.
Iryna Smitchkova prosegue il suo percorso artistico esprimendosi in una tecnica classico-realista tramite la quale le leggerissime tonalità di multistrati di colore sono pennellate sulla tela riuscendo a creare sfumature ricche di carattere ma rimanendo leggere, quasi trasparenti. Il colore sembra sia sospeso e le gradazioni di luce avvolgono la tavola creando atmosfere uniche. Questa tecnica di radici Italiane si può far risalire al XIX secolo.
I lavori esposti sono il riassunto di una parentesi di vita trascorsa dall’artista in Turchia (2013-2016) che dopo aver girato il mondo si ferma ad Ankara, dove rimane incantata dei profumi e dai colori di questa terra, che ha generosamente offerto a piene mani, colori, luci ed emozioni.
L’acquarello dell’artista si rivela gentile e dolce nel tocco quasi a contrastare il carattere forte e deciso della natura circostante.

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Ortensia bianca

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Cocomeri

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Brocca e melone

 

Luigi Forgini / 3-16 dicembre

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INAUGURAZIONE SABATO 3 DICEMBRE ALLE ORE 18

I colori di Trieste di Maria Cristina Andreutti

Dopo 45 anni di successi Luigi Forgini continua ad affascinare il suo pubblico con le immagini dolci e spettacolari di Trieste, gli scorci della sua storia, con i colori della sua natura. Ricordi di nevicate silenziose, sguardi su vecchie vie ricche di attività oggi scomparse, campagne inondate di sole e colore. Una gioia e una luce che permeano tutte le sue tele.
L’occhio dell’osservatore non può non essere attratto dalla dolcezza di un mare azzurro e sereno solcato dal lento ritmo di barche di pescatori, passeggiate di donne di inizio secolo in quelle strade che riconosciamo ancora da piccoli dettagli e che riusciamo ad immaginare attraversate da cavalli e carrozze.
La pittura è morbida, luminosa, la pennellata decisa ma attenta ai particolari, armoniosa, ricca di luce, esprime direttamente ciò che l’autore ha nel cuore e senza sensazionalismi arriva a toccare le corde della sensibilità del visitatore che si sofferma davanti a scorci di vita che furono. Un passato sempre permeato di dolcezza, di ottimismo, di gioia ed orgoglio per le proprie origini.

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Nato come allievo del Tosti, “pittore del sole”, Forgini ha mantenuto molte delle caratteristiche del suo maestro, ma senza dubbio le sue opere trasmettono emozioni che ci fanno percepire come vive le immagini rappresentate sulle sue tele.
In un mondo, anche artistico, in cui spesso al visitatore viene richiesto uno sforzo interpretativo, la pittura di Forgini ci fa tirare il fiato, rilassare, incantandoci davanti a tramonti o notturni più reali che mai.
Ritengo che in questa forma di pittura definibile come postimpressionista, ci siano tutti gli ingredienti per rinfrancare lo spirito, guardare Trieste e vederne solo le bellezze, lasciandosi trasportare da una sensazione interiore di serenità.
Credo ce ne sia bisogno oggi e credo che anche questo sia alla base del successo che ogni esposizione del Forgini riscuote tra il pubblico di tutte le età e di tutte le provenienze.

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Oreste Dequel /
19 novembre – 2 dicembre

INAUGURAZIONE SABATO 19 NOVEMBRE ALLE ORE 18.

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Due figure

Non temo di spingermi troppo oltre affermando che alcune delle sue realizzazioni sono nella scala dei giganti, ch’esse possono confrontarsi con le opere degli anonimi dell’Isola di Pasqua, delle Indie arcaiche, o dell’Egitto faraonico. Qualcuno dei suoi personaggi, uomini o animali, ci “appare” come l’emanazione d’una divinità sovrana ed io non conosco che pochissimi scultori che siano stati così profondi come Dequel nell’osservazione dell’animale, al fine di rivelarci un po’ del suo sconcertante mistero. Andrè Verdet – Saint Paul de Vence (Francia)

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Torello

Perciò il lavoro artistico di Oreste Dequel, germinato dalla riconsiderazione della mitica e favolosa arcaicità mediterranea e innervato degli interrogativi di una dimensione esotica e lontana, propone positivamente a tutti noi una nicchia segreta di liberatoria creatività e fantasia, come alternativa all’incomunicabilità e all’alienazione e come viatico affidabile per il raggiungimento della felicità.
Sergio Molesi – Trieste

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Due gatti

Oreste Dequel nasce a Capodistria nel 1923 (quando la città era ancora italiana). Dequel si trasferì a Trieste nel 1945 e quindi passò definitivamente a Roma nel 1960. La sua casa a Trastevere fu però “la casa dell’eterno ritorno”, perché l’artista per tutta la vita viaggiò e lavorò in tutti i continenti. Uomo colto e curioso del mondo, passava le estati a Vence en Provence, lavorando a turno in vari paesi, specie negli Stati Uniti. Qui insegnò al Contemporary Art Workshop di Chicago (1969) e dal 1973 tenne la cattedra di Belle Arti all’Università di Iowa City. Le sue mostre sono state per gran parte all’estero: da New York a Londra, da Sidney a Zurigo. Per due anni (1979-1980) tenne anche la cattedra all’Accademia Internazionale di Salisburgo. Muore prematuramente a Roma nel 1985.

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Figura in piedi

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Saltimbanco

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Amanti