INAUGURAZIONE SABATO 27 DICEMBRE ALLE ORE 18
SABATO 10 GENNAIO ALLE ORE 18 INCONTRO CON L’ARTISTA E PRESENTAZIONE DEL VOLUME “RIVE DI TRIESTE”.
La mostra resterà chiusa dal 4 al 9 gennaio 2015.
Rive di Trieste. Tra natura e cultura di Walter Chiereghin
Nel 2013 Livio Crovatto ha prodotto un libro fotografico sulla Laguna di Venezia, evitando le insidie dell’ovvietà insite nel soggetto, probabilmente tra i più fotografati al mondo.
In occasione di questa mostra gioca in casa, esplorando con la fotocamera l’area delle Rive, il punto nevralgico dell’incontro tra la città e il suo mare, la linea di confine tra l’elemento liquido e la solidità della terraferma, dove si incontrano le geometrie composte delle architetture e l’aperta visione di cielo e mare, cangiante continuamente a seconda dell’ora, del tempo atmosferico, del vento e della marea, in impercettibili o subitanei vistosi movimenti della luce e delle masse d’acqua. È il posto più prettamente triestino, quello di un’eterna dialettica elemento naturale e artificio edilizio, tra natura e cultura, così ricorrente nella nostra letteratura e nella nostra poesia, da Slataper a Saba a Pahor, come pure nella pittura, da Flumiani a Wostry a Spacal a Švara, come, ancora, nella memoria e nella quotidianità di quanti a Trieste abitano.
L’obiettivo esercitato di Crovatto compie anche in questo domestico sguardo gettato intorno a lui stesso una selezione di immagini proponendone alcune di forte impatto visivo ed emotivo, sia nel caso in cui esse rappresentano dettagli inanimati del paesaggio che si può cogliere passeggiando nelle poche centinaia di metri presi in considerazione dalla sua indagine (suppergiù l’area prospiciente Piazza dell’Unità, il Molo Audace e il Canale), sia che tale paesaggio si animi e si complichi per la presenza di figure umane, spesso irriconoscibili per i loro lineamenti perché colte di spalle o in controluce dall’obiettivo, che le riduce così a siluette che, seppure prive di identità, o forse proprio a cagione di ciò, risultano tuttavia portatrici di una palpitante umanità.
Una raffinata eleganza compositiva narra di una cultura della visione che si esprime nella sottolineatura di rigidità geometriche, com’è nel caso di un’immagine del sole al tramonto o in quella di vele che si rincorrono sulle onde in un’inopinata tripartizione dello spazio fatta di grandi campiture che disegnano un rettangolo, un trapezio e un triangolo, o ancora nelle grandi bandiere che garriscono orizzontali sui pili di Piazza Unità in una giornata di vento impetuoso. In tali esercizi di equilibrio formale si perviene a volte a una rappresentazione quasi astratta, per l’angolatura particolare di un’inquadratura o sfruttando il gioco di riflessioni che rende ondulate le geometrie di Palazzo Gopcevich nel loro riflettersi nelle acque del Canale davanti alla sua facciata.
A tale eleganza formale, particolarmente nelle immagini che includono soggetti animati, si associa una sofferta partecipazione emotiva, sia quando l’obiettivo narra di labbra protese in un bacio o nei giochi affettuosi di due amanti accoccolati davanti al mare, sia quando racconta dell’atavico legame biunivoco tra un uomo e il suo cane, colti anch’essi alla luce di un infiammato tramonto.
Nell’insieme, immagini di grande valenza estetica ed emotiva, che esprimono con calorosa partecipazione umana un concetto spesso abusato dalla retorica, quello di patria, del luogo cioè dove siamo nati e dove abbiamo imparato a camminare, a parlare, a leggere e scrivere, a confrontarci con gli altri e a sapersi parte di un più grande insieme, che si compone e scompone sotto lo stesso cielo e davanti al medesimo mare.