Elisabetta Bolaffio / 17-30 dicembre 2011


Uomini
di MARIANNA ACCERBONI

INAUGURAZIONE SABATO 17 DICEMBRE ALLE ORE 18.30

Esiste un’anima del nostro tempo che mira alla materialità dell’avere, l’altra all’essere. Su quest’ultimo concetto si sono focalizzate di recente l’attenzione e la visione pittorica di Elisabetta Bolaffio, triestina di ceppo ebraico e di madre milanese, che nei grandi occhi dei suoi modelli immaginari traduce, con intensa sensibilità estetica e narrativa, tutto il fascino e il dolore di un mondo che spesso, per fretta, egoismo e noncuranza, siamo usi tenere a distanza: un’umanità dolente, simbolica, spesso attonita, che il pennello fine dell’artista descrive nell’intimo, avvalendosi della grande dimensione per accentuare la pura, a volte inconsapevole, bellezza, la malinconia, la solitudine di quelle anime pensierose.
Un’ispirazione non premeditata, che ha colto l’artista all’improvviso, dopo che per anni la passione per la pittura l’aveva condotta lungo un percorso, qualitativamente in salita, che prediligeva il tema del paesaggio: tendenzialmente narrativo all’inizio, espressionista e materico poi, ma sempre connotato da un fattore fondamentale nella pittura di tutti i tempi, la luce. E di luce risplendono i grandi occhi scuri, straniati, che compongono la mostra, affondando in un’oscurità che assume valenza di scenario simbolico, secondo i parametri di un odierno naturalismo o verismo. Come se a narrare la loro storia fosse un moderno Émile Zola o un Victor Hugo o un Giovanni Verga del ventesimo secolo, pronti a rammentare all’Occidente vicende di dimenticato squallore…
Cos’è che ha colpito d’improvviso e senza un movente razionale l’artista e hic et nunc l’ha condotta a descrivere attraverso i loro grandi occhi spesso feriti, l’animo e la vita di questi “uomini”? C’è, secondo alcune teorie, una sorta di coscienza o conoscenza comune, al di là del reale, cui spesso i più sensibili tra i testimoni di ogni epoca attingono, per raccontare la verità della vita. Tra questi testimoni ci sono spesso, quasi a loro insaputa, artisti, pittori, poeti, menti immaginifiche capaci di intravvedere il reale al di là dello stesso e spesso di preannunciarlo, da acuti sensori del loro tempo e per questo spesso animi travagliati.
Elisabetta Bolaffio nonostante un’apparenza pragmatica, è tra questi e grazie al mezzo eletto della pittura, sviluppata nell’accezione figurativa e simbolica, ha iniziato con tale ciclo pittorico una riflessione e forse un’indagine sul nostro egocentrismo, alla ricerca di una soluzione, cui pervenire attraverso una denuncia poetica e icastica.

Elisabetta Bolaffio dipinge con passione dalla prima giovinezza. Ha iniziato ad affinare tecniche e linguaggi, frequentando i corsi di pittura tenuti da Carmelo Vranich nel suo atelier. Alla Scuola del Vedere – Libera Accademia di Belle Arti, diretta a Trieste da Donatella Surian, ha seguito gli insegnamenti di Marino Cassetti, Roberto Tigelli, Claudio Mario Feruglio, Christian Hache (nudo) e Antonio Sofianopulo. Predilige, oltre all’olio, anche l’acrilico, l’olio ad acqua e il pastello secco.

Vernissage, 17 dicembre 2011

Dyalma Stultus / 3 – 16 dicembre 2011



La poesia del paesaggio
di MARINA PETRONIO

INAUGURAZIONE SABATO 3 DICEMBRE ALLE ORE 18

Ritorna con questa mostra nella sua città natale il pittore Dyalma Stultus (Trieste, 1901 – Darfo,1977), artista eclettico ed intellettuale di grande interesse per i legami culturali mantenuti nel corso del tempo con Trieste, in modo particolare, ma anche con triestini di successo attivi a Firenze nel secondo dopoguerra.
Dotato di talento innato e precoce, iniziò la sua carriera giovanissimo: iscritto a diciassette anni all’Accademia di Belle Arti di Venezia, vi si diplomò nel 1921 in “ornato e decorazione”, sotto la guida di Ettore Tito e Arturo Sézanne.
Già nel 1922 riuscì ad allestire a Ca’ Pesaro la sua prima mostra personale attirando attenzione ed elogi dai critici. Negli anni a seguire la sua fama si consolida con brillanti prospettive per il futuro, ma la morte del principe Alessandro di Torre e Tasso, suo ammiratore e mecenate, mettono una brusca fine a progetti di sviluppo e collaborazione. Dyalma Stultus fu comunque per il Castello di Duino, uno dei più importanti restauratori, come attesta la corrispondenza tra l’artista ed il principe.
A Firenze si trasferì nel 1941, stringendo amicizia con Felice Carena ed altri artisti italiani di spicco del Novecento; le sue scelte artistiche si svilupparono tuttavia indipendenti dalle tendenze e dalle mode del tempo.
Dedicò molti anni della sua vita all’insegnamento in istituti ed accademie d’arte, e numerose sono le sue opere conservate in collezioni pubbliche ed in raccolte private, dove possiamo ammirare splendidi ritratti.
Tante sono pure le sue opere, tra le quali ceramiche create in anni giovanili, purtroppo scomparse a causa di due guerre mondiali; tra esse si possono citare ad esempio, le scenografie dipinte per le feste che si svolgevano in casa Svevo.
Un capitolo a parte ma indispensabile per comprendere la personalità di Stultus, è costituito dal vastissimo corpus epistolare, destinato interamente per volontà della famiglia Stultus, all’Archivio di Stato di Trieste.
Dalla lettura delle lettere emerge un mondo di cultura che spazia dall’arte alla letteratura,al teatro, patrimonio degno di essere ricordato e valorizzato anche perché le testimonianze ivi contenute fanno riferimento a personalità profondamente legate alla cultura triestina, come Svevo, Joyce, Stuparich ed altri.
L’acquisizione dell’archivio Stultus costituisce quindi per Trieste un’importante contributo non solo per la storia dell’arte del Novecento, ma anche per la conoscenza culturale della città stessa.
Ha opportunamente osservato a proposito di Dyalma Stultus, in una sua nota critica Ugo Barlozzetti: “… La forza della civiltà triestina, la civiltà di una generazione non adeguatamente fortunata, comunque quella, tanto per citare qualche grande intellettuale, di Strehler o di de Banfield, non mi pare ancora adeguatamente studiata, anzi scoperta.”

Laura Grusovin / 19 novembre – 2 dicembre



Stagioni diverse
di WALTER CHIEREGHIN

INAUGURAZIONE SABATO 19 NOVEMBRE ALLE ORE 18

A chi di Laura Grusovin conosca l’avventura pittorica, il suo sgomitolarsi nel tempo, risulteranno in larga misura conformi alla sua più recente stagione creativa le opere esposte in questa sua personale triestina: abbandonata da qualche tempo la via che tanto pareva (ed era) a lei congeniale dell’espressione surreale, propone oggi in più compassate forme figurative un suo microcosmo, per lo più naturalistico, nel quale più infrequente e sicuramente meno esplicita appare la riflessione sul proprio universo interiore, meno consapevole l’aggirarsi nei labirinti della visione onirica, più mimetizzato l’ordito narrativo che contraddistingueva molte sue immagini di qualche anno addietro.
Anche in questa sua nuova stagione, tuttavia, l’artista (com’è del resto inevitabile) mette a frutto le esperienze e le perizie acquisite nella precedente attività creativa, restituendo anche ora la trasfigurata visione del reale attraverso la compostezza formale di un realismo meticoloso ed attento, palpitante soprattutto nella scelta esercitata sulla tavolozza, in gamme tonali di limitata ampiezza, anche se, in dipinti diversi, inclini tanto alle solarità di gialli e rossi quanto alla sommessa melodie dei verdi e dei bruni. Sono opere dove la ricerca di punti di osservazione spesso sospesi a mezz’aria, la ricercatezza di soluzioni luministiche radenti, fissate sulla tela in un loro attimo aurorale o crepuscolare, lo stesso ritmo compositivo originale sono tutti fattori che allontanano, nonostante il nitore del segno grafico e lo studio attento dell’adesione al reale, da una definizione di pittura iperrealista, proprio per quanto, anche a prima vista, si percepisce della sofferta partecipazione emotiva dell’artista al compiersi dell’opera. La pittura della Grusovin ci aveva abituato a una composizione policentrica, a eventi narrativi che collocavano, come per i primitivi della più alta nostra tradizione pittorica, su una medesima superficie scenica eventi cronologicamente separati, come pure alla presenza di più o meno espliciti elementi simbolici, a sottintendere significati diversi da quelli a prima vista rappresentati. Ora tutto questo, tutto ciò che componeva, in altre parole, la sua ricerca nell’ambito delle modalità espressive di impostazione surrealista, ha lasciato spazio a questa diversa poetica, basata su una più composta contemplazione della realtà, con cedimenti solo marginali e quasi inavvertibili a stilemi e richiami del periodo che l’ha preceduta. Eppure, a non volersi fermare a una prima superficiale impressione, è rinvenibile anche nella compostezza attuale una traccia vivida dell’artista di ieri: si pensi soltanto alla metafora del dipinto Dopo, al valore simbolico di un nido vuoto a ricordare i genitori, oppure alle stravaganti figurine in altalena in primo tempo avvertite come frutti sulla chioma di un albero. Un divenire pittorico che narra dell’intensità con la quale viene affrontato il lavoro creativo, che, per quanto sorvegliato e rigoroso, non riesce a contenere tutta l’esuberante necessità di narrarsi dell’artista, sia quando ciò avvenga in una spumeggiante leggera ironia, sia quando riveli un più profondo e coinvolgente travaglio emotivo.

Laura Grusovin è nata a Gorizia nel 1955, dove vive e lavora. Autodidatta, predilige la tecnica ad olio su tela o tavola. Dai lavori di carattere figurativo dei primi anni ottanta, Laura Grusovin passa a soggetti neosurreali, che caratterizzeranno la sua produzione per oltre un decennio, fino ad approdare nelle sue ultime opere ad una maggiore adesione formale alla realtà, approfondendo la ricerca sui moduli e le forme. Negli ultimi quindici anni ha allestito una trentina di mostre personali e partecipato a più di cinquanta fra esposizioni di gruppo, fiere d’arte e concorsi in Italia, Austria, Slovenia, Spagna, Gran Bretagna, Finlandia, Belgio, Polonia, Cina e U.S.A.