Sergio Budicin / 4 -17 aprile

INAUGURAZIONE SABATO 4 APRILE ORE 18

1  Verso il precipizio, tela 80x80 OK_9639

Verso il precipizio, olio su tela (cm 80×80)

Ritorna a esporre a Trieste Sergio Budicin, artista dal conclamato talento, che propone, attraverso una fitta sequenza di oli su tela e su tavola, soprattutto recenti e inediti, le tematiche predilette: la natura, colta nei suoi aspetti più quieti o lussureggianti, gli animali, dai più feroci ai più teneri, dipinti con grande partecipazione e dolcezza, ma anche l’essere umano, interpretato mediante un ritratto dal taglio narrativo tradizionale, in cui l’artista sa cogliere l’anima del soggetto. E poi, il fantasticare nell’ambito della storia e di alcuni dei suoi miti, da Lady Godiva a Carlo Martello, alla rappresentazione di un torneo medioevale, nel dipingere i quali Budicin si conferma maestro; mentre un capitolo a parte meritano i magnifici cavalli, autentica passione dell’artista, che egli ama dipingere, dando prova di grande virtuosismo, a memoria, come nell’opera che li ritrae in gruppo, spaventati dal pericolo di un precipizio. E infine, tra i molteplici spunti poetici, ecco una coppia di magnifici pavoni verdi, raffigurati sullo sfondo di un pesco in fiore, lei piccolina, lui elegantissimo, dalle lunghe piume.

4  Anitre allo stagno, tela 60x90

Anitre allo stagno, olio su tela (cm 60×90)

Nel tempo Budicin ha maturato una tecnica perfetta, che gli consente di “illuminare” le sue opere attraverso molteplici velature: fermamente convinto che gli studi di anatomia, delle svariate discipline pittoriche e del disegno, assieme all’esercizio quotidiano dell’arte, rappresentino la via da seguire, la insegna, assieme al figlio Roberto, agli artisti-allievi che frequentano da anni il suo bellissimo studio, situato in posizione strategica poco sotto Opicina.
Qui sono stati dipinti e da qui sono partiti i quadri che l’artista ha esposto in tutto il mondo sotto l’egida di prestigiose gallerie quali la Aukloster di Monschau, la Nürnberger Rachmenkunst Haus der Gemalde, la Galerie Vogel di Heidelberg, la Schoeninger, la Reith e la Galerie in der Prannerstrasse di Monaco e la Bilder im Hof di Flensburg, tanto per citarne solo alcune. Un successo grandissimo, che rende sempre più attese all’estero e in Italia le sue personali. Marianna Accerboni

2  Ritratto di Barbara tela 90x70

Ritratto di Barbara olio su tela (cm 90×70)

Ferruccio Crovatto / 21 marzo – 3 aprile

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INAUGURAZIONE SABATO 21 MARZO ORE 18.00

I fili del tempo
La fotografia di Ferruccio Crovatto di Walter Chiereghin

Non meno di altri mezzi espressivi, la fotografia è documentativa, oltre che dello stato d’animo dell’autore ed eventualmente di quello del soggetto rappresentato, di un’epoca storica determinata. La datazione è in genere facilmente individuabile da parte di chi si accosti all’immagine, non solo nei casi in cui sono assunti dalla fotocamera elementi chiaramente databili, come taluni dettagli paesistici, la foggia degli abiti, oppure modelli automobilistici, targhe, manifesti pubblicitari o altri oggetti, ma anche quando l’immagine riflette una sensibilità e un gusto riferiti a un determinato momento storico.
Così nell’opera fotografica del triestino Ferruccio Crovatto (1921 – 1988) appare a prima vista chiaramente avvertibile una matrice ispirata al neorealismo degli anni in cui il fotografo, nelle sue prime esperienze dietro l’obiettivo, iniziava, trentenne, a produrre immagini alla cui ispirazione rimarrà in seguito sempre sostanzialmente fedele, anche mutando le condizioni tecniche che, ad esempio, lo condurranno dal bianconero al colore.
Una sorta di “imprinting” della sua cultura visiva, quasi fatale per una persona che inizia a scattare i suoi fotogrammi nei primi anni Cinquanta del secolo scorso, quando il cinema italiano stava esaurendo la sua seconda stagione neorealista, dopo i capolavori legati al periodo bellico e a quello immediatamente successivo al conflitto. Una stagione felice e già matura, tale da dettare tematiche e stilemi ancora per molti anni dopo la conclusione dal glorioso periodo, basti pensare ad alcune modalità espressive, protratte fino alla metà degli anni Settanta, nella cinematografia di Pier Paolo Pasolini.
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Ireneo Ravalico / 7 – 20 marzo

INAUGURAZIONE SABATO 7 MARZO, ORE 18.

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Ireneo Ravalico – Fanciulla con cerchio

Un pittore metafisico? di Fabrizio Stefanini
La critica d’arte giornalistica che per più mezzo secolo ha cercato di definire sinteticamente la pittura di Ireneo Ravalico (soprattutto in relazione alla produzione degli ultimi decenni) ha più volte usato il termine “metafisico”. Giulio Montenero, anche se ha evitato di solito questo termine, è il critico che a mio avviso ha più e meglio letto questa particolare prospettiva interpretativa. Il termine metafisico richiama inevitabilmente la pittura metafisica storicamente intesa. Ma è intuibile che, riferendosi al pittore triestino, esso prescinda da una diretta e vincolante appartenenza alla corrente del primo Novecento. Se infatti è plausibile che alcuni tratti di poetica e di stile del pittore presentino delle affinità con questa alta “scuola”, era lui stesso, per coscienza, autonomia e personalità, a non condividere un riferimento puntuale. Del resto, non gradiva di essere classificato e limitato dentro sintetiche formule. In generale, la pittura matura di “Ireneo” non è mai immediata ma è filtrata da una mediazione intellettuale che riflette scelte di contenuto e di stile, oltre a orientamenti ideologici personali e sufficientemente costanti. Per lo meno dalla metà degli anni 60 del Novecento il pittore si è ispirato al vero ma ha mostrato la tendenza a esprimere, è stato detto, l’essenza archetipica, i modelli universali della realtà fisica. In base a questo modo di pensare e di sentire, in molte sue opere l’immobilità formale e ordinata della realtà raffigurata dà effettivamente l’impressione di collocarsi in uno spazio/tempo, appunto, “metafisico”. Le cose sembrano risuonare e significare oltre la loro apparenza, al di là della loro quotidianità esperienziale: tendono cioè a acquistare un valore evocativo, quasi simbolico.

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Ireneo Ravalico – A mio fratello

L’armonia del mondo fisico nasconde e richiama ciò che lo precede e lo sostiene come un disegno ordinato e misterioso (per lui, in particolare, “provvidenziale”). Se ciò, in generale, può coincidere con un’arte intesa come interpretazione e trasfigurazione del reale, la sua pittura è più marcata di altre dal “realismo magico” (nei limiti di un’altra formula che, più o meno appropriatamente, ha cercato di definire la cifra che ne connota l’arte). Questi giudizi, a mio parere, sono certamente utili come guida generica per orientarsi. D’altra parte le scelte più importanti del pittore tendono a confermarli. Ad esempio il disegno esperto e netto, le partiture piatte ma articolate nelle tonalità dei colori, la frequente stilizzazione della figura umana e la pulizia formale delle cose rappresentate, la forte esigenza prospettica, le stesse scelte tematiche più ricorrenti. Uno dei tratti che, tuttavia, distanziano secondo me la pittura di Ravalico dalla storica pittura metafisica (a prescindere da livelli e giudizi di valore), è il carattere religioso della sua visione del mondo e della sua ispirazione, anche a livello tematico e “narrativo”. È stato poi rilevato più volte l’orientamento conservatore, poco evolutivo, del pittore triestino. Ciò è, di nuovo, in parte vero. Anche se è stato un artista sperimentale, egli si muoveva e elaborava ogni innovazione con molta ponderazione e prudenza, come se non volesse mettere in discussione le scelte più profonde, che erano anche di coerenza umana, perfino di moralità e di fede religiosa. Infine, la critica, che si è espressa di solito su giornali o riviste, per ragioni intuibili, non ha mai organizzato un quadro interpretativo analitico e sintetico di ampio respiro, cioè di tutta la sua produzione. Ha proceduto soltanto per parziali ri-sistemazioni in occasione delle sue numerose mostre. Manca cioè – non certo per demerito dei critici – un quadro che ne riconsideri organicamente tutta la produzione, anche quella giovanile, che ha una forte personalità e originalità. Tale riesame probabilmente ridimensionerebbe l’impressione di un pittore che è cambiato poco. Questa stessa riconsiderazione critica credo tematizzerebbe e articolerebbe meglio il giudizio, motivato ma anche riduttivo, di pittura metafisica “sui generis”.

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Ireneo Ravalico – Muretto appena colorato (Prosecco)

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Ireneo Ravalico – Tre barche vicine e tante lontano