Livio Crovatto / 6-19 febbraio

INAUGURAZIONE SABATO 6 FEBBRAIO ALLE ORE 18.
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La mia Cittavecchia di Walter Chiereghin

Città Vecchia a Trieste, più di mezzo secolo fa l’area urbana più vivace e brulicante di vita (in piccola parte anche di malavita), il nucleo attorno cui si è formata la città, che ha poi dovuto subire decenni di degrado ed abbandono favorendo così l’espulsione degli abitanti verso aree più periferiche senza che il risanamento, parzialmente intervenuto negli ultimi anni, riuscisse mai a rivitalizzare l’area che si configura ora, in larga parte, come un non-luogo. Dire di questo per immagini, nella storia e nella topografia, è il compito che si è dato Livio Crovatto, in una ricerca frutto di esplorazioni protratte e ripetute negli anni, a partire da quelli Settanta, in cui l’impegno consisteva nel documentare il degrado, con immagini necessarie ora per un confronto con la situazione attuale, una volta completato l’intermittente lavoro di ripristino. Un’osservazione che coglie la realtà profonda del non-luogo attraverso i cui spazi indugia Crovatto, proprio come in una precedente occasione nella quale aveva esibito un appassionato reportage sulle Rive. Lì, in quelle ridondanti occasioni di incontro, la figura umana era quasi onnipresente, a testimoniare di una presenza collettiva e assidua sul luogo. Al contrario, nelle immagini di Città Vecchia com’era e come oggi è, la presenza di persone è sporadica e occasionale, qui la storia ormai è narrata solo dai muri, dal selciato, da un cielo intravisto appena tra facciate e tetti accostati lungo le strette vie.
Pure a osservare queste fotografie se ne rimane affascinati, perché il ritmo compositivo che anima la staticità delle riprese, lo studio nell’accostamento dei valori tonali, la prospettiva schiacciata o al contrario dilatata dal variare della lunghezza focale dell’obiettivo restituiscono un’immagine impeccabile dal punto di vista formale, ma quel che più conta in sintonia con la collaudata poetica di Crovatto, che continua a esercitarsi sul terreno di un contatto sempre emozionante ed empatico tra l’autore e l’oggetto della sua coinvolgente osservazione.

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