INAUGURAZIONE SABATO 22 MARZO, ALLE ORE 18.
ZU VERKAUFEN – FOR SALE – IN VENDITA di Diana Bosnjak
Non mangio più le fragole. Saranno passati più di vent’anni e sto ancora disperatamente cercando quel profumo di fragole che si è inciso, fissato nel mio cervello e non riesce più ad abbandonarlo. Maledette le fragole! Non mi lasciano in pace. Apro lo yogurt di “fragole” e sento il profumo. Quel profumo. Sarà davvero la fragola giusta, o sarà di nuovo una creazione sterile di una multinazionale qualsiasi? Aromi naturali, scrivono sulla confezione. Sambuco. Maledetto sambuco. Per poter estrarre l’aroma delle fragole, almeno i sambuchi si sono salvati, prima che se ne dimentichi l’odore. Allora non farà più differenza. Uno vale altro. Saranno destinati alla moria anche i sambuchi. Tifo almeno per loro.
Non sono solo le fragole che mi mancano, da tanto tempo non trovo tutta una sfilza di cose che mi ricordo di aver visto e toccato con le mie mani. Stelle marine, cetrioli marini, ricci marini, per iniziare, resina di pino, legno tagliato, carbone fumante, odore della stufa accesa, odore dello sterco di vacca, bucaneve, mirtilli di bosco, letame sui campi, rondini di primavera e la sensazione nell’aria prima che cada la neve. E poi tante, tante altre cose. L’elenco non finirebbe mai.
Difficilmente vivo nel presente, continuo ad interrogarmi sul passato o sul futuro, a chiedermi perchè succede una cosa e non l’altra. Sono una persona che cambia di continuo le cose che la circondano, che non riesce ad ancorarsi o mettere radici, una persona che sta cercando il sapore e l’odore di un’infanzia perduta e di posti nuovi da scoprire. Nella mia vita di vagabonda mentale, sempre più spesso mi accorgo di aver perso qualche cosa che non riesco più a ritrovare, non riesco più a riconoscere le differenze e, ultimamente, sembra proprio che tutte le cose assumano gli stessi sapori, gli stessi odori. Nel mondo del consumo sfrenato in cui viviamo, ci invitano di alzare il PIL inquinando sempre di più, rovinando tutto quello che ci è ancora rimasto. Ma, dopo che avremo tagliato l’ultimo albero ci resterà la speranza di salvarci, o finiremo come gli abitanti dell’isola di Pasqua? Ci indirizzano a buttare le cose, a comperarne delle altre, ma le cose che abbiamo non possono avere anche una seconda possibilità? Quella vecchia sedia della nonna, non potrebbe diventare diversa con un po’ d’immaginazione? Bisogna proprio buttarla e correre all’Ikea a prenderne una nuova, scadente, che fra un anno o due diventerà più vecchia e demodè di quella della nonna che di anni nè ha settanta o cento? In questo mondo globalizzato nessuno si sorprende più del perché la carne proviene dall’ Olanda, il fiore che troviamo nel negozio sotto casa dal Kenya, o il pesce dall’ Uganda; nessuno si accorge che non esiste l’odore di fragola. Sembra che tutto sia diventato solo merce di scambio, una bolla di fumo che svanisce nei paesi lontani, ma nello stesso tempo vicini. Mi rendo conto che i nostri figli non vedranno mai il cielo di colore blu perchè è inquinato, non mangeranno mai le mele che abbiamo potuto assaggiare noi, che i nostri figli sono dei prigionieri nel mondo globalizzato che ci siamo creati attorno, pensando, falsamente, di progredire. Invece di rompere le barriere abbiamo creato dei confini.
Compito dell’artista è di riuscire a captare le sensazioni, sentimenti, pensieri, trasferirli nelle immagini, suoni, movimenti o parole e cercare a indirizzare gli altri a vederle. Nel mio caso, sono spesso, da sola, isolata nei miei pensieri, cerco il senso della vita, analizzo le cose che mi circondano, e faccio in modo di creare immagini che possano trasmettere agli altri il mio piccolo mondo. Per questo l’arte è una cosa meravigliosa. Ognuno può liberamente esprimere i propri sentimenti. Soprattutto in questi momenti di crisi e di buio sociale io fermamente credo nell’arte del futuro e nel futuro dell’arte. Solo l’arte ci farà vedere la strada giusta da prendere.