INAUGURAZIONE SABATO 7 MARZO, ORE 18.
Un pittore metafisico? di Fabrizio Stefanini
La critica d’arte giornalistica che per più mezzo secolo ha cercato di definire sinteticamente la pittura di Ireneo Ravalico (soprattutto in relazione alla produzione degli ultimi decenni) ha più volte usato il termine “metafisico”. Giulio Montenero, anche se ha evitato di solito questo termine, è il critico che a mio avviso ha più e meglio letto questa particolare prospettiva interpretativa. Il termine metafisico richiama inevitabilmente la pittura metafisica storicamente intesa. Ma è intuibile che, riferendosi al pittore triestino, esso prescinda da una diretta e vincolante appartenenza alla corrente del primo Novecento. Se infatti è plausibile che alcuni tratti di poetica e di stile del pittore presentino delle affinità con questa alta “scuola”, era lui stesso, per coscienza, autonomia e personalità, a non condividere un riferimento puntuale. Del resto, non gradiva di essere classificato e limitato dentro sintetiche formule. In generale, la pittura matura di “Ireneo” non è mai immediata ma è filtrata da una mediazione intellettuale che riflette scelte di contenuto e di stile, oltre a orientamenti ideologici personali e sufficientemente costanti. Per lo meno dalla metà degli anni 60 del Novecento il pittore si è ispirato al vero ma ha mostrato la tendenza a esprimere, è stato detto, l’essenza archetipica, i modelli universali della realtà fisica. In base a questo modo di pensare e di sentire, in molte sue opere l’immobilità formale e ordinata della realtà raffigurata dà effettivamente l’impressione di collocarsi in uno spazio/tempo, appunto, “metafisico”. Le cose sembrano risuonare e significare oltre la loro apparenza, al di là della loro quotidianità esperienziale: tendono cioè a acquistare un valore evocativo, quasi simbolico.
L’armonia del mondo fisico nasconde e richiama ciò che lo precede e lo sostiene come un disegno ordinato e misterioso (per lui, in particolare, “provvidenziale”). Se ciò, in generale, può coincidere con un’arte intesa come interpretazione e trasfigurazione del reale, la sua pittura è più marcata di altre dal “realismo magico” (nei limiti di un’altra formula che, più o meno appropriatamente, ha cercato di definire la cifra che ne connota l’arte). Questi giudizi, a mio parere, sono certamente utili come guida generica per orientarsi. D’altra parte le scelte più importanti del pittore tendono a confermarli. Ad esempio il disegno esperto e netto, le partiture piatte ma articolate nelle tonalità dei colori, la frequente stilizzazione della figura umana e la pulizia formale delle cose rappresentate, la forte esigenza prospettica, le stesse scelte tematiche più ricorrenti. Uno dei tratti che, tuttavia, distanziano secondo me la pittura di Ravalico dalla storica pittura metafisica (a prescindere da livelli e giudizi di valore), è il carattere religioso della sua visione del mondo e della sua ispirazione, anche a livello tematico e “narrativo”. È stato poi rilevato più volte l’orientamento conservatore, poco evolutivo, del pittore triestino. Ciò è, di nuovo, in parte vero. Anche se è stato un artista sperimentale, egli si muoveva e elaborava ogni innovazione con molta ponderazione e prudenza, come se non volesse mettere in discussione le scelte più profonde, che erano anche di coerenza umana, perfino di moralità e di fede religiosa. Infine, la critica, che si è espressa di solito su giornali o riviste, per ragioni intuibili, non ha mai organizzato un quadro interpretativo analitico e sintetico di ampio respiro, cioè di tutta la sua produzione. Ha proceduto soltanto per parziali ri-sistemazioni in occasione delle sue numerose mostre. Manca cioè – non certo per demerito dei critici – un quadro che ne riconsideri organicamente tutta la produzione, anche quella giovanile, che ha una forte personalità e originalità. Tale riesame probabilmente ridimensionerebbe l’impressione di un pittore che è cambiato poco. Questa stessa riconsiderazione critica credo tematizzerebbe e articolerebbe meglio il giudizio, motivato ma anche riduttivo, di pittura metafisica “sui generis”.